Se gli stereotipi si abbattono uno alla volta, il 2017 sembra aver deciso di occuparsi del ruolo secondario da sempre ricoperto dalla donna nei prodotti culturali. Dopo un secolo abbondante passato quasi interamente nei panni della damigella in pericolo, la donna ha finalmente saltato la barricata nel taccuino degli sceneggiatori hollywoodiani, indossando panni nuovi sia sul grande che sul piccolo schermo, sfuggendo ai classici e impolverati tropi letterari a lei riservati.

Che si tratti di un’onda da cavalcare o di un reale cambio di rotta nella produzione e nella fruizione dell’intrattenimento, forse è po’ troppo presto per dirlo. Quel che si può apprezzare per il momento è che, per una volta, i videogiochi si sono fatti stranamente trovare sul pezzo. Non capita spesso. A dirla tutta è proprio raro trovare un videogioco immerso nello spirito del tempo dell’anno in cui raggiunge gli scaffali, come invece avviene più facilmente per libri, film o dischi grazie a tempi produttivi più ristretti.

[Nel caso specifico però, ovvero la rappresentazione della donna, il videogioco può vantare addirittura un primato, incarnato dalle spigolose forme della prima Lara Croft – per quanto anche lei non fosse totalmente priva di stereotipi di genere e nelle ultime incarnazioni si sia trasformata in una Lolita mugugnante trascinata in un’avventura archeo-sadomaso, ma questa è un’altra storia.]

In questo senso, Uncharted: L’Eredità Perduta è un gioco in cui si respira tutto il 2017, anzi, un 2017 in un certo senso migliore di quello in cui siamo immersi noi. Perché ha una coppia di protagoniste risolute e auto-determinate, nel senso che non devono la loro funzione narrativa al rapporto che le lega a un altro personaggio – “sono scritte come se fossero uomini” ho letto a commento di un qualche articolo, come se non fosse proprio questo il punto del discorso. Perchè le due protagoniste non sono nemmeno caucasiche, e la loro “diversità” non è una strizzata d’occhio a una qualche corrente di pensiero, ma ha una precisa valenza narrativa. Ma soprattutto perchè Uncharted: L’Eredità Perduta – a differenza di quanto ho fatto io, sorry –  non perde nemmeno un secondo né una riga di dialogo per far notare tutto ciò, considerando la sua rappresentazione del mondo assolutamente normale per l’anno 2017, come dovrebbe essere, appunto.

Tanto normale che pur cambiando la coppia di protagonisti e la loro composizione – il legame tra Chloe e Nadine è molto differente rispetto a quello che univa Nathan e il/la sua partner nei precedenti episodi – sfoggia in buona sostanza la medesima formula vincente con cui la serie si è conquistata il successo. Si potrebbe dire che Uncharted poggi ormai sul suo stesso successo e non senta dunque la mancanza della sua icona Nathan Drake, oppure vederla dall’altro punto di vista e riconosce a Naughty Dog l’abilità nel dar forma a un immaginario condiviso talmente solido da reggere anche in assenza del suo volto più riconoscibile, impresa che ha visto fallire numerose altre saghe.

Come già avvenuto nelle precedenti incarnazioni di Uncharted, nemmeno The Lost Legacy intende porre una sfida al giocatore. Capita assai di rado di non sapere dove andare e in ogni caso gli elementi visivi necessari a raccapezzarsi abbondano e persino le sparatorie, in genere, arrivano quando ce le si aspetta. Uncharted punta ad altro. Vuole portarti alla fine del gioco perchè, fondamentalmente, vuole che tu ti metta comodo e possa apprezzare gli sviluppi narrativi da blockbuster cinematografico, godendoti tutto, dagli scenari mozzafiato ai combattimenti senza ovviamente trascurare gli intermezzi.

Non è necessariamente un male, anzi nel caso la formula piaccia nessuno al mondo riesce ad applicarla tanto bene quanto Naughty Dog, nonostante in molti ci abbiano provato. Avanzando di capitolo in capitolo il team californiano ha affinato la propria capacità di gestione del genere, raggiungendo probabilmente la summa proprio con L’Eredità Perduta. Forse è proprio per questo che dopo essere nato come contenuto aggiuntivo questo spin-off si è guadagnato sul campo i ranghi del titolo stand alone.

O forse perchè a Naughty Dog non sembrava giusto chiudere con Uncharted – sarà vero questa volta?! – con una formula che avrebbe fatto passare L’Eredità Perduta come un capitolo minore, quando in realtà incarna la summa di anni di esperienza. Anche se le innovazioni vere e proprie sono poche. Su tutte, il sistema di combattimento corpo a corpo rivisitato, che consente di eseguire attacchi in combo tra Chloe e Nadine in maniera estremamente naturale quando le due si trovano vicine nell’affrontare un nemico, e la strizzata d’occhio all’open world nella prima metà del gioco. In realtà si tratta solo di un’area molto estesa in cui il gioco abbandona la formula “chiusa” del passato per offrire una maggiore libertà di movimento ed iniziativa.

È un segno, questo, di estrema consapevolezza. Come la compressione della durata al di sotto delle dieci ore, scelta da cui trae indubbio giovamento il ritmo, sempre sostenuto e quasi del tutto privo di tempi morti per l’intera durata del gioco. Per quanto non si possa certo definire rivoluzionario, lo sviluppo de L’Eredità Perduta è fatto di tante piccole e a volte poco visibili levigature a meccanismi già rodati ed apprezzati dal pubblico, che nel complesso danno luogo in un certo senso all’Uncharted definitivo, al netto dell’inevitabile dejà vù che attanaglierà in alcuni frangenti chi è già passato attraverso quattro corposi capitoli principali.

Sarebbe tuttavia ingenuo e ingeneroso ricondurre l’approccio di Naughty Dog solamente al diffuso conservatorismo che condiziona la produzione di titoli AAA a grosso budget. Gli sviluppatori di Uncharted hanno invece dimostrato di saper osare laddove è necessario. Ovvero spogliando l’iconico Nathan Drake del ruolo di protagonista nell’ultimo atto della sua storia. Ma soprattutto decidendo di porre fine di loro iniziativa a una saga che avrebbe garantito loro la possibilità di campare di rendita ancora per anni ed anni.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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